Fame

«La fame sono io. Per fame, intendo quel buco spaventoso di tutto l’essere, quel vuoto che attanaglia, quell’aspirazione non tanto all’utopica pienezza quanto alla semplice realtà: là dove non c’è niente, imploro che vi sia qualcosa».

Amélie Nothomb, “Biografia della fame”

Amputata, mi sento amputata

«Una volta lui aveva detto qualcosa che lei non riusciva ad immaginare: gli amputati sentono dolori, crampi, solletico alla gamba che non hanno più. Così si sentiva lei senza di lui, sentendolo là dove non c’era più».
Gabriel García Márquez , “L’amore ai tempi del colera”

Forse si sta meglio, o forse no… (ovvero delle cose che non saprò mai)

Fatico a trovare le parole, da qualche giorno a questa parte. Non è certo una novità, ma stavolta l’afasia è anche mentale. Silenzio, sento solo il silenzio. Un silenzio confuso, inframmezzato dal clangore delle lacrime che paiono stridere sulle guance in una fase in cui fatico davvero a contenerle.

L’Universo ogni tanto mi parla ancora, per bocca di strani personaggi che incontro sul mio cammino, o di canzoni ascoltate per caso, o di citazioni che ti capitano tra capo e collo e che acchiappo prima che si smarriscano nel marasma della rete e della mia labilissima memoria. I sensi si sono come acutizzati, i nervi son scoperti, le cicatrici son come sparite sostituite da una corazza ipersensibile che mi ricopre tutta, nel corpo, nel cuore, nell’anima.

Ha smesso di piovere, finalmente e pare essere arrivata all’improvviso una primavera che non ci si aspettava proprio. L’aria la sera profuma di prati che inverdiscono e di piante che buttano gemme, come il centenario glicine con cui condivido le pause sigaretta. Le giornate tutto d’un tratto paion più lunghe e in cielo una falce di luna sorride al mondo.

C. si è rifatto una vita e il solo pensiero mi dà le vertigini e un non trovo vago senso di nausea.

Eppure. Eppure una parte di me sente che un legame da qualche parte c’è. Che tipo di legame sia non riesco a comprenderlo ma la percezione è nettissima e la mia parte razionale non riesce a sconfiggerla e a farla tacere – anche se tutto sarebbe più facile se riuscissi a farmi entrare in testa che è finita. Malamente. Dolorosamente. Inequivocabilmente finita.

Poco fa ho trovato una citazione perfetta per questo mio momento, la citazione con la C maiuscola, ma anche con tutte le altre lettere in maiuscolo, e pure in grassetto. Forse se mi fosse capitata tra le mani qualche tempo fa l’avrei trascritta su un foglio con la mia sgangherata grafia, l’avrei infilata in una busta e l’avrei spedita. Ora no, ora è troppo tardi.

Peccato, o forse meglio così.

«Volevo scriverti, non per sapere come stai tu, ma per sapere come si sta senza di me. Io non sono mai stato senza di me e quindi non lo so. Vorrei sapere cosa si prova a non avere me che mi preoccupo di sapere se va tutto bene, a non sentirmi ridere, a non sentirmi canticchiare canzoni stupide, a non sentirmi parlare, a non sentirmi sbraitare quando mi arrabbio, a non avere me con cui sfogarsi per le cose che non vanno, a non avermi pronto lì a fare qualsiasi cosa per farti stare bene. Forse si sta meglio, o forse no. Però mi e venuto il dubbio e vorrei anche sapere se ogni tanto questo dubbio è venuto anche a te. Perché sai, io a volte me lo chiedo come si sta senza di te, poi però preferisco non rispondere che tanto va bene così. Ho addirittura dimenticato me stesso per poter ricordare te».  Soren Kierkegaard , “Diario di Un seduttore”

“Amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia”

«Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità. È proprio così: amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma contro voglia, nella costrizione, nel pianto, nella sofferenza. In me faccio triste esperienza di quel verso di un famosissimo poeta: “Ti odierò, se posso; se no, t’amerò contro voglia”».

 Francesco Petrarca, “Ascesa al Monte Ventoso”